Di tutta la vicenda del PD successiva alla sconfitta alle elezioni sarde la cosa che colpisce di più è che sia il dibattito sulle dimissioni di Veltroni che quello sull’elezione del suo successore Franceschini sia stato soltanto di tipo organizzativo, tutto giocato sui nomi, sui gruppi dirigenti passati e futuri, e per nulla sulla linea politica. Non un briciolo di autocritica sulle scelte politiche compiute fino a oggi.
Come se non fosse chiaro a tutti che il tonfo elettorale non è altro che l’ultimo di una ormai lunga serie di sconfitte: la caduta del governo Prodi e la successiva sconfitta alle elezioni politiche, la perdita del comune di Roma, le elezioni regionali in Abruzzo. Come se questa crescente fuga degli elettori di sinistra non fosse prima di tutto il prodotto di una linea politica.
Nessuno ha messo in discussione il progetto su cui è nato il PD, cioè la scelta di un modello bipolare bipartitico introdotto mediante un sistema elettorale fortemente maggioritario, che porti all’alternanza di due forze politiche sostanzialmente omogenee nelle scelte di fondo e che escluda la presenza di ogni forza politica realmente alternativa. Il sogno di trapiantare in Italia il modello americano, un modello estraneo alla tradizione politica italiana, portava a sacrificare alla voglia di maggioritario due tradizioni politiche, la cattolico popolare e quella socialdemocratica, che in tutti gli altri paesi europei sono sempre rimaste ben separate. L’ibrido politico che ne è risultato è un partito incapace di scegliere sulle questioni di fondo, dalla difesa della laicità dello stato o ai problemi del lavoro dove la Cgil è lasciata da sola sotto l’attacco di governo e Confindustria . Un partito incapace di lavorare a costruire l’opposizione politica e sociale al governo Berlusconi sia in Parlamento che nel paese.
Ma il problema della sconfitta elettorale ha delle radici ancora più profonde. Il centrosinistra è nato e cresciuto nella globalizzazione capitalistica, presentandosi come il suo miglior gestore e come chi era capace di temperarne gli eccessi. Della globalizzazione ha assunto le culture e i valori: dal liberismo temperato alla centralità dell’impresa. Di fronte alla crescente insicurezza sociale prodotta dal quel modello di sviluppo, insicurezza diventata vero e proprio terrore con l’esplosione della crisi economica, il centrosinistra non è stato in grado di dare alcuna risposta credibile. Al contrario la destra ha usato l’insicurezza sociale come un’arma per fomentare la guerra tra i poveri e costruire su queste basi il suo consenso. “Le risorse si riducono quindi buttiamo fuori i più deboli”. Di fronte alla crisi la destra propone uno sbocco barbarico. Ma il Pd non ha proposto nulla. Nel suo ultimo piano contro la crisi non è nemmeno stato in grado di porre la questione della redistribuzione del reddito, che è il problema più grande che abbiamo dinnanzi.Quello che manca e che occorre ricostruire è la credibilità di una sinistra di alternativa che sappia elaborare una proposta credibile di uscita dalla crisi. Una proposta alternativa alle ricette liberiste e “riformiste”. Rifondazione Comunista lavora alla costruzione di una sinistra di alternativa, anticapitalista e comunista, non subalterna alla crisi del Pd, capace di costruire con la Cgil, con il sindacalismo di base, con la moltitudine di comitati locali, l’opposizione sociale nel Paese. Per questo formula proposte che devono diventare parole d’ordine di massa: redistribuzione del reddito, ammortizzatori sociali per tutti, intervento pubblico nell’economia, rilancio del welfare. Vogliamo promuovere un movimento generale, consapevole che dalla crisi non si esce con i sacrifici tagliando redditi e stato sociale, ma con la radicale messa in discussione degli attuali assetti di reddito e di potere.
Fabio Visentin
Rifondazione comunista dell’Alto Adige
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