Ricordo di Fausto Concer …
Saluto gli ospiti …
Noi auspichiamo che quello di questa mattina non si riduca a un semplice scambio di saluti e di auguri di buon lavoro. Ma possa essere una irrituale, anche se breve, utile discussione e messa a fuoco delle analisi e delle proposte che ci uniscono, senza nasconderci quelle che ci dividono. Noi pensiamo che le turbolenze finanziarie a cui stiamo assistendo siano il risultato di una crisi molto più generale che ha ancora da dispiegare in pieno i suoi effetti distruttivi. Ci si trova nel pieno di una crisi di sistema destinata a durare ancora anni. Una crisi dalla quale si uscirà con una società e un mondo profondamente trasformati. Il problema è il tipo di trasformazione alla quale andiamo incontro. Qualcuno, con capacità di analisi molto più grande della mia, già un secolo fa sosteneva che queste crisi violente e drammatiche del capitalismo pongono l’umanità di fronte ad un bivio: “socialismo o barbarie”. La crisi da cui traeva questa conclusione era quella iniziata alla fine dell’800 e che avrebbe portato alla 1° guerra mondiale, alla nascita dei fascismi, alla crisi del ’29 e sarebbe stata superata solo con la 2° guerra mondiale, al taylorismo come nuovo paradigma della produzione e con le politiche keynesiane di uso della spesa pubblica per sostenere l’economia. La crisi attuale riproduce l’andamento di quella, con in più l’aggravante dell’esplosione di altre crisi: per esempio quella ambientale, quella climatica, quella energetica e quella dell’esaurimento delle risorse del pianeta. La mondializzazione e la finanziarizzazione dell’economia sono la risposta che il liberismo ha dato e ancora cerca di dare ad una crisi che nelle sue radici è una classica crisi di sovrapproduzione. Esattamente come un secolo fa. Ma se le politiche liberiste ci hanno portato a questa crisi, non per questo i poteri che le hanno imposte demordono, anzi rilanciano. Stiamo assistendo in Europa a un vero e proprio golpe finanziario. Istituzioni a-democratiche, perché non elette da nessuno, impongono ai popoli le loro ricette. Negli anni 80 e 90 il FMI e la BM imponevano ai popoli del Sud del mondo piani di “aggiustamento strutturale”, che volevano dire privatizzazioni e svendita alle imprese multinazionali di tutto il patrimonio pubblico e di tutte le risorse, e feroci tagli ai miseri stati sociali di quei Paesi. Questo ha comportato la fine dei sistemi previdenziali pubblici e la chiusura delle scuole e delle strutture sanitarie pubbliche. Ora quei progetti di “aggiustamento strutturale” i popoli dell’Europa se li ritrovano imposti loro volta. Questo sono in ultima analisi le prescrizioni che ci arrivano da BCE e Consiglio d’Europa e ora anche dal FMI. È una strategia che punta alla distruzione dello stato sociale e ai diritti del mondo del lavoro che costituivano la caratteristica più positiva dell’Europa. Nessuna delle imposizioni che ci vengono fatte porta ad una ripresa del sistema produttivo, si va dritti verso una fase di recessione. L’esempio della Grecia è lì a dimostrarlo: da molti mesi la Grecia sta sperimentando sulla pelle del suo popolo le direttive della BCE e della Commissione Europea e anche una pur piccola ripresa sembra un sogno che non si realizzerà. Per le classi dirigenti europee l’importante è rendere possibile che si riproduca quel sistema che ha permesso ad una minoranza di ricchi di continuare ad accumulare ricchezze sulle spalle di tutto il resto della popolazione. Non è un’analisi che facciamo solo noi, descritti spesso come vecchi arnesi di una concezione veterocomunista, è un’analisi che condividiamo con altri, con un buon numero di economisti che non hanno abbracciato il liberismo e le sue “sorti magnifiche e progressive” e non hanno abbandonato la critica dell’economia di marxiana memoria. Ma anche con persone e associazioni con tradizioni culturali diverse dalle nostre, vedi per esempio il Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano. La difficoltà maggiore che impedisce al paese di trovare una soluzione positiva e a costruire un inizio di fuoriuscita da questa situazione è che l’ideologia liberista che ha dominato nei decenni appena trascorsi rimane ancora forte e rende molti succubi delle imposizioni della finanza. Gli esperti, i tecnici, gli economisti, quelli che la crisi non l’avevano prevista continuano imperterriti a pontificare e a riproporre le loro ricette, spacciandole per inesorabili leggi naturali, mentre non sono altro che il frutto di scelte politiche ben precise. In questa fase il debito pubblico è impugnato strumentalmente come una clava dai poteri finanziari per imporci le loro politiche. Noi siamo convinti che la questione del debito vada impostata in maniera radicalmente diversa da quella che ci viene imposta e che prevede un vero e proprio massacro sociale. Alcuni Stati (Argentina, Ecuador, Irlanda) hanno dimostrato che si può anche non pagarlo o perlomeno rinegoziarlo radicalmente. Non c’è nessuna ragione che ci costringe a pagare il debito contratto con il sistema delle banche che ne detengono la maggior parte e che hanno speculato sulla sua creazione. La proposta avanzata in questo senso da p. Zanotelli è assolutamente condivisibile.
Si deve andare ad una redistribuzione della ricchezza, invertendo la tendenza che negli ultimi decenni ha visto quote di ricchezza sempre maggiori passare dai redditi da lavoro e dalle pensioni alla rendita e alla speculazione dando luogo alla creazione di enormi patrimoni. Per questo pensiamo che sia indispensabile, oltre che moralmente giusto, introdurre una tassa che colpisca finalmente i grandi patrimoni immobiliari e finanziari sbocco finale della gigantesca evasione fiscale che caratterizza il nostro paese. Pensiamo che si debba con forza ripristinare un intervento pubblico sull’economia, magari con una impostazione nuova rispetto a quella clientelare che abbiamo vissuto in passato. Pensiamo che le imprese che de localizzano lo possano fare solo a patto di restituire gli spesso lauti contributi ricevuti dallo Stato. Pensiamo che debba essere elaborato un piano di intervento per il risanamento idrogeologico (e non solo) del territorio nazionale. Pensiamo che grandi risparmi della spesa pubblica possano essere ottenuti prima di tutto tagliando le grandi opere e le spese militari (a cominciare dal ritiro dei contingenti dalle operazioni militari in corso e dalla rinuncia all’acquisto di nuovi sistemi d’arma come i cacciabombardieri e le navi da guerra). Pensiamo che i costi della politica debbano essere drasticamente abbattuti senza però penalizzare la democrazia e la rappresentatività delle istituzioni. A cominciare dal taglio delle indennità dei parlamentari, dei loro vitalizi e al dimezzamento dei loro stipendi. Ma pensiamo che si debba andare anche ad una drastica riduzione delle retribuzioni dei grandi manager. Non sono proposte che facciamo oggi per inseguire l’ondata di indignazione che sta dilagando, ma sono proposte che Rifondazione aveva avanzato già alcuni anni fa nell’indifferenza di tutti. Infine siamo per la difesa intransigente della Costituzione, per la difesa della democrazia, per la difesa dei diritti del lavoro e per il ritorno ad un sistema elettorale proporzionale, l’unico che salvaguarda la rappresentatività vera delle istituzioni e la fuoriuscita dal bipolarismo che ci ha regalato questi lunghi anni di regime berlusconiano. Queste proposte valgono in campo nazionale, ma hanno tutte la loro traduzione a livello provinciale. Pensate per esempio alle retribuzioni dei nostri consiglieri, assessori e presidenti provinciali, e dei sindaci dei nostri maggiori comuni. Qui in certi casi si potrebbe procedere ben oltre al dimezzamento dello stipendio di presidente, consiglieri e sindaci; mentre dimezzare o anche solo ridurre il numero dei consiglieri porterebbe ad una drastica riduzione della rappresentatività del Consiglio, per ottenere un consigliere occorrerebbe superare l’8% dei voti validi. Lungo sarebbe l’elenco delle cose che non ci piacciono nel modo con cui si amministra la politica e l’economia della nostra Provincia, a cominciare dal rigido centralismo con cui la giunta esercita il suo potere, un verticismo che contraddice i continui richiami ai valori dell’autonomia. L’autonomia che subiamo è tutta di vertice e cala le decisioni dall’alto senza riconoscere una reale autonomia ai comuni e alle altre istituzioni locali (vedi la scuola). Assistiamo alla riproduzione in scala locale del comportamento del governo nazionale uscente, che, contraddicendo le solenni dichiarazioni di voler praticare il federalismo, ha mortificato le autonomie regionali. Il ministro Maroni ha governato con un uso dello strumento dei prefetti mai visto prima, neanche nel periodo dei governi Scelba. Anche la concezione dello sviluppo e dell’economia del governo locale non si discosta da quella nazionale, con una predilezione anche qui per uno sviluppo basato sulle grandi opere (tunnel del Brennero, ampliamento dell’aeroporto, inceneritore), sulla continua e progressiva cementificazione del territorio e praticando e accrescendo anno dopo anno un modello di turismo che divora il territorio. Si identificano come volano dell’economia queste attività e a queste si sacrifica tutto. Anche qui si tende a scaricare il peso della crisi sulla popolazione con i tagli allo stato sociale, il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego e la minaccia di tagli all’occupazione. Questi tagli cominciano già a farsi sentire e come sempre i primi a pagare per queste politiche sono i meno protetti, in particolare i nuovi cittadini i migranti. Di questo vorremmo che si cominciasse a parlare, in vista delle prossime scadenze elettorali incombenti, ma anche di quelle provinciali e comunali, senza infingimenti e senza nascondere le differenti visioni. Su questi temi e problemi intendiamo portare avanti il confronto non solo con le forze politiche del centrosinistra ma anche e soprattutto con le forze sociali, a cominciare dai sindacati, con le associazioni e con i movimenti. Con questi intendiamo insistere con la nostra prassi che ci ha sempre visti aperti all’ascolto e interni ai movimenti, interessati alla loro crescita e senza nessuna pretesa di egemonia. Pensiamo che si debba porre un freno alla continua tendenza alla frammentazione e alla divisione della sinistra, a una rissosità sterile, cosa che ha contribuito non poco alla sua perdita di credibilità. La Federazione della Sinistra è una proposta valida in questo senso, propone un’unità su il molto che viene condiviso (dall’analisi alle proposte concrete) senza costringere nessuno a rinunciare alle sue specificità. Non c’è dubbio sul fatto che è partita male e forse senza molta convinzione ( a Bolzano per esempio non si è neppure riusciti a farla partire), ma rappresenta la strada più realista e praticabile per portare ad una unità d’azione tra tutte le forze della sinistra. Pertanto siamo convinti che vada riproposta e allargata ad altre forze. Anche qui in provincia. Tutto questo lo avevo scritto lo scorso fine settimana. Poi come tutti sapete sono intervenuti grossi fatti nuovi. Abbiamo assistito alla repentina crisi del governo Berlusconi, all'annuncio delle sue dimissioni e alla prevedibile dissoluzione della sua maggioranza. È un passaggio che avevamo a lungo perseguito e che festeggiamo. Questa uscita di scena rappresenta un punto decisivo della vicenda politica italiana e per milioni di cittadini italiani che in questi anni hanno lottato contro il governo. È un elemento di grandissima soddisfazione. Di fronte a questa crisi la strada maestra è quella di andare immediatamente alle elezioni. Per ridare voce al popolo e rimettere in funzione la democrazia. Per battere definitivamente le destre e costruire il quadro politico più avanzato che le condizioni attuali ci consentono: costruire un fronte democratico tra le forze della sinistra e del centrosinistra. Per restituire al popolo il diritto di decidere se e come sopportare il grande fardello che si vuole scaricare sulle sue spalle. Ma la situazione politica sta rapidamente evolvendo in maniera diversa. Nonostante grandi momenti di mobilitazione popolare il governo Berlusconi non è caduto sulla spinta di questa mobilitazione e men che meno per opera dell’opposizione parlamentare. È caduto per l’intervento massiccio della speculazione finanziaria e dei poteri forti europei. Quello che si sta verificando in Europa in questi giorni è la dimostrazione che per il capitalismo la democrazia è un optional; quando non da disturbo la si può usare, ma se è di intralcio può essere sospesa. In Grecia la semplice proposta di chiedere che fosse il popolo ad esprimersi sulle pesantissime manovre che deve sopportare ha provocato l’ira di dio: sono crollati gli indici delle borse e tutta la classe dirigente, i mas media e i loro opinionisti, si sono precipitati a dire che era una cosa inaudita, pericolosa. Vuoi mai che il popolo sovrano dica che “noi il debito non lo paghiamo”? Ricorrere a strumenti democratici diventa una cosa eversiva per chi ci comanda. Risultato: ritiro immediato della proposta e un nuovo governo di larghe intese diretto da l’ex direttore della Banca Centrale Greca con il compito di far trangugiare ai greci i provvedimenti ordinati dall’Europa. Non molto diversa è la vicenda italiana. Anche qui tutto l’insieme dei poteri europei (politici ed economisti uniti nella lotta), giocando sul terrore provocato dalle scorribande sui nostri tutoli di stato della speculazione finanziaria e dal non intervento della BCE, spinge a creare in Italia le condizioni per portare a compimento il “piano di aggiustamento strutturale” predisposto dai vertici europei (la svendita totale del patrimonio pubblico, la distruzione definitiva del welfare, la cancellazione dei diritti del lavoro) e contenere al massimo la rivolta sociale che tutto questo è destinato a scatenare. Il Presidente della Repubblica e larga parte del quadro politico e economico stanno indirizzando la crisi politica in questa direzione, con il lancio del governo istituzionale affidato a Monti, tecnocrate di provata fede liberista. Un governo che sarebbe, anzi sarà, fedele esecutore delle direttive europee e che non farebbe altro che avvicinare la situazione italiana a quella greca. In più permetterebbe alle destre populiste - a partire dalla Lega - di rifarsi una verginità rispetto ai disastrosi anni del loro governo e di ricostruirsi consenso popolare. Un vero disastro. Noi siamo contrari a regalare una verginità a chi con le politiche liberiste è stato ampiamente complice e quindi siamo contrari al governo di salute pubblica presieduto da Monti. In questo contesto noi, come Rifondazione e come Federazione della Sinistra, proponiamo a tutte le forze che si opporranno da sinistra a questo governo tecnocratico di dar vita ad un patto di consultazione permanente, al fine di condurre con la maggiore efficacia possibile l'opposizione sociale e politica.
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