Vorrei dire che cosa è stato di nuovo per me il 25 aprile appena trascorso e se gli aspetti nuovi che ho sperimentato abbiano o no peso sufficiente per avviare un dibattito politico ad ampio raggio. Naturalmente la prima cosa è notare con soddisfazione che l’importanza della ricorrenza si è dilatata e ha raggiunto quote di popolazione solo pochi anni fa disinteressate. Questo è davvero molto significativo e, insieme ad altri fattori, è certo in gran parte dovuto al fatto che l’Anpi da un paio di congressi si è attivata per realizzare ciò che si è proposta e cioè di dare un seguito all’associazione e ai suoi contenuti e valori anche oltre la vita dei suoi componenti, per così dire “d’ufficio”, cioè quanti sono iscritti/e, perchè presero parte alla Resistenza. L’appello é a chi è nato/a troppo tardi per essere direttamente nel movimento resistenziale, ma può iscriversi all’Anpi purchè faccia prima una scelta antifascista. Ha avuto, mi pare, una buona risposta e infatti tutte le iniziative cui ho preso parte, hanno mostrato una presenza giovanile molto visibile e motivata. Benissimo. Si è attivata anche in parte l’area del neofascismo, e del revisionismo, con qualche provocazione e la costante richiesta di non distinguere Resistenza e Repubblica sociale, in nome della “memoria condivisa” e del fatto che tutti i morti sono uguali. Credo si possa e si debba adeguatamente rispondere. L’espressione “memoria condivisa” anticipa una meta che potrebbe essere raggiunta dopo un lungo processo di ricerca storiografica. Anticipare questa eventuale “conclusione” non ha alcun valore scientifico, è una proposta strumentale e infondata: già la nostra storia risorgimentale ha fatto grande fatica a liberarsi delle lunghe strumentalizzazioni prodotte dal “partito del re” cioè da quella storiografia pagata e sostenuta dai Savoia, che ha sempre teso a nascondere altri pezzi di storia, ad esempio che lo stato più avanzato era il Granducato di Toscana, che la corte di Napoli era molto importante culturalmente in Europa, che Napoli era più industriale di Milano; e durante il fascismo poi non si fece altro che magnificare le prime atroci imprese coloniali (Adua, Tripoli) come dimostra invano da tempo Del Boca. La pessima abitudine di adattare la storia alle vicende politiche e di renderla serva è durata persino nelle celebrazioni dei 150 anni, se ci si ricorda che non si è fatta quasi parola della Questione romana, forse per non disturbare le relazioni col Vaticano, o che non si è parlato dell’importante tradizione federalista (fino al padre di Trentin: appena uscito il volume degli atti di un convegno del 2011, intitolato: Pensare un’altra Italia, Il Progetto politico di Silvio Trentin, a cura di ANPI di Treviso e ISTRESCO) forse per non dare spazio alla Lega, invece di documentare il suo inesistente federalismo: ancora un atteggiamento non scientifico. Ma veniamo alla questione di parificare la partecipazione alla Resistenza a quella di chi si schierò per la Repubblica sociale italiana. candidati prc alle provinciali 2013
3.5.12
25 aprile e dintorni, di Lidia Menapace
Vorrei dire che cosa è stato di nuovo per me il 25 aprile appena trascorso e se gli aspetti nuovi che ho sperimentato abbiano o no peso sufficiente per avviare un dibattito politico ad ampio raggio. Naturalmente la prima cosa è notare con soddisfazione che l’importanza della ricorrenza si è dilatata e ha raggiunto quote di popolazione solo pochi anni fa disinteressate. Questo è davvero molto significativo e, insieme ad altri fattori, è certo in gran parte dovuto al fatto che l’Anpi da un paio di congressi si è attivata per realizzare ciò che si è proposta e cioè di dare un seguito all’associazione e ai suoi contenuti e valori anche oltre la vita dei suoi componenti, per così dire “d’ufficio”, cioè quanti sono iscritti/e, perchè presero parte alla Resistenza. L’appello é a chi è nato/a troppo tardi per essere direttamente nel movimento resistenziale, ma può iscriversi all’Anpi purchè faccia prima una scelta antifascista. Ha avuto, mi pare, una buona risposta e infatti tutte le iniziative cui ho preso parte, hanno mostrato una presenza giovanile molto visibile e motivata. Benissimo. Si è attivata anche in parte l’area del neofascismo, e del revisionismo, con qualche provocazione e la costante richiesta di non distinguere Resistenza e Repubblica sociale, in nome della “memoria condivisa” e del fatto che tutti i morti sono uguali. Credo si possa e si debba adeguatamente rispondere. L’espressione “memoria condivisa” anticipa una meta che potrebbe essere raggiunta dopo un lungo processo di ricerca storiografica. Anticipare questa eventuale “conclusione” non ha alcun valore scientifico, è una proposta strumentale e infondata: già la nostra storia risorgimentale ha fatto grande fatica a liberarsi delle lunghe strumentalizzazioni prodotte dal “partito del re” cioè da quella storiografia pagata e sostenuta dai Savoia, che ha sempre teso a nascondere altri pezzi di storia, ad esempio che lo stato più avanzato era il Granducato di Toscana, che la corte di Napoli era molto importante culturalmente in Europa, che Napoli era più industriale di Milano; e durante il fascismo poi non si fece altro che magnificare le prime atroci imprese coloniali (Adua, Tripoli) come dimostra invano da tempo Del Boca. La pessima abitudine di adattare la storia alle vicende politiche e di renderla serva è durata persino nelle celebrazioni dei 150 anni, se ci si ricorda che non si è fatta quasi parola della Questione romana, forse per non disturbare le relazioni col Vaticano, o che non si è parlato dell’importante tradizione federalista (fino al padre di Trentin: appena uscito il volume degli atti di un convegno del 2011, intitolato: Pensare un’altra Italia, Il Progetto politico di Silvio Trentin, a cura di ANPI di Treviso e ISTRESCO) forse per non dare spazio alla Lega, invece di documentare il suo inesistente federalismo: ancora un atteggiamento non scientifico. Ma veniamo alla questione di parificare la partecipazione alla Resistenza a quella di chi si schierò per la Repubblica sociale italiana.
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